Giovani laureati e lavoro in Italia

Raffaella Cascioli[1]

 

I dati dell’ISTAT continuano a registrare spiragli di luce per l’occupazione giovanile in Italia anche nel terzo trimestre 2017; dopo gli incrementi – nel 2016 e ancor prima nel 2015 – del tasso di occupazione dei 15-34enni (+0,7 e +0,1 punti rispettivamente).

Del miglioramento sembrano giovarsi particolarmente i laureati. Dopo una flessione continua dal 2008 al 2014 del tasso di occupazione dei giovani laureati italiani non più inseriti in percorsi di istruzione e formazione, c’è stata, nel biennio 2015-2016, una decisa inversione di tendenza: secondo i dati dell’European Labour Force Survey (ELFS)[2], l’aumento del tasso di occupazione (+2,7 punti  in due anni) è anche più sostenuto rispetto a quello medio europeo (+1,5) ed a quello registrato dai principali Stati Membri dell’Unione, la Francia (+0,5), il Regno Unito (+0,4), la Germania (-0,3). Ancora più sostenuto è l’aumento se si seleziona il sottoinsieme uscito più di recente dagli studi[3]: +8.5 punti verso un +2,4 dell’Ue28.

Tuttavia, i dati della stessa fonte ELFS indicano che nel 2016 il tasso di occupazione dei giovani laureati italiani che hanno terminato i percorsi formativi è ancora di 16,5 punti inferiore a quello della media europea e, se si seleziona il sottoinsieme uscito più di recente dagli studi, il divario cresce a 21,5 punti, indicando l’esistenza di forti criticità, ancor più evidenti nel momento della transizione dalla fine del percorso formativo al lavoro.

Si tratta di criticità ben rilevate dall’approfondimento sui giovani nel mercato del lavoro, svolto dall’ISTAT nel secondo trimestre 2016 nell’ambito della Rilevazione sulle Forze di Lavoro[4].

Non vi è dubbio che i giovani laureati hanno più opportunità di occupazione rispetto ai loro coetanei privi di tale titolo di studio. La ricerca ISTAT evidenzia infatti che il tasso di occupazione dei giovani 15-34enni non più inseriti in percorsi di istruzione e formazione cresce marcatamente all’aumentare del livello formativo, raggiungendo il 71,7% nei laureati (63% e 47,4% per chi possiede un titolo secondario superiore o al più un titolo secondario inferiore, rispettivamente).

Tuttavia, la stessa indagine ISTAT sottolinea come la sovraesposizione al lavoro atipico non risparmia certo i laureati: tre su dieci hanno un lavoro a tempo determinato o un rapporto di collaborazione; e, tra coloro usciti dal sistema di istruzione nell’ultimo biennio (II trim 2014 – II trim 2016), la quota di laureati occupati in lavori atipici sale ad uno su due.  Inoltre, oltre un giovane laureato su cinque è occupato a tempo parziale e, prevalentemente non per scelta ma a causa dell’impossibilità di trovare un’occupazione a tempo pieno.

Dalla ricerca ISTAT emerge inoltre che il 31,4% dei laureati dichiara che per svolgere adeguatamente il proprio lavoro sarebbe sufficiente un più basso livello di istruzione rispetto a quello posseduto.  L’entità dell’incidenza di questa sorta di misurazione soggettiva del fenomeno del sottoutilizzo del capitale umano disponibile – overeducation – mette in risalto le estese criticità collegate agli esiti occupazionali dei giovani laureati.

In questo quadro si inseriscono le informazioni – desunte sempre dalla ricerca ISTAT – relative alla disponibilità al trasferimento della residenza per motivi di lavoro: la disponibilità è massima tra i laureati e le maggiori disponibilità a trasferirsi per lavoro si riscontrano laddove il giovane proviene da ambienti familiari culturalmente più elevati. Sembra dunque emergere a fianco ad una motivazione alla mobilità più legata alla necessità di soddisfare l’esigenza primaria di trovare un lavoro, quella maggiormente legata all’aspirazione di trovare un lavoro più coerente con le competenze acquisite nei percorsi formativi. Dal punto di vista dell’individuo la mobilità può essere una scelta più o meno gratificante, sicuramente non facile. Dal punto di vista del paese, questi stessi risultati evidenziano una potenziale, rilevante perdita proprio del capitale umano sul quale il paese ha effettuato il maggiore investimento.

Quali conclusioni? Da un lato sembrerebbe essersi prodotta un’apertura ai giovani nella domanda di lavoro italiana ed il miglioramento registrato nelle opportunità occupazionali dei laureati all’uscita dai percorsi di istruzione e formazione appare un importante segnale positivo, affatto trascurabile nell’entità, in un periodo dove spesso si ragiona di variazioni minime. Dall’altro, i dati riportati ci consegnano l’evidenza di un serio problema di scarsità della domanda di lavoro qualificato. Ma proprio per questo è importante incoraggiare la ripresa registrata incentivando la strada dell’innovazione tecnologica che il paese ha intrapreso. C’è l’opportunità di vedere crearsi nuovi posti di lavoro, che richiedano più elevate professionalità e che utilizzino il capitale umano disponibile nel paese, aiutando a contenere l’esodo dei nostri laureati[5]. Con lo stesso fine, andrebbero rilanciati i settori economici che maggiormente accolgono profili professionali umanistici; in questo ambito il nostro Paese appare avere particolari potenzialità rimaste finora non adeguatamente sfruttate. I giovani che usciranno dagli studi negli anni a venire avranno livelli d’istruzione via via più elevati e potranno trovare adeguati sbocchi lavorativi nel nostro Paese solo nell’ambito di un diverso tessuto produttivo.

[1] Ricercatrice presso l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT). Il presente contributo riflette le opinioni dell’autore e non quelle dell’ISTAT.

[2] Pubblicati nel sito EUROSTAT.

[3] Giovani che hanno concluso il percorso di istruzione e formazione da non più di tre anni.

[4] ISTAT, Statistica Focus ‘I giovani nel mercato del lavoro’, 27 Ottobre 2017.

[5] C.f.r..ISTAT, Rapporto BES 2017, Dominio “Innovazione, ricerca e creatività: “Nel 2016 il tasso di mobilità dei laureati italiani continua ad essere negativo, indicando una perdita netta a favore dei paesi esteri e proseguendo il trend degli ultimi anni”.

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