Considerazioni generali sul tema della diversità di genere.

Angela Paladino

Il tema della gender diversity richiama una attenzione particolare in tutti gli ambiti del mondo del lavoro. Una analisi approfondita sia in termini statistici sia in termini sociologici, ci rivela come il fenomeno dell’impatto del genere femminile sia in evoluzione, ma presenti anche dei punti di preoccupazione soprattutto se apriamo l’osservazione all’ambito della formazione e della scuola.

Un esempio pratico ci viene da una analisi datata 2014 nel mondo farmaceutico, condotta su un campione di 27 Aziende tra multinazionali e aziende italiane di medio grandi dimensioni e un campione di popolazione aziendale tra livelli N-1, N-2 e N-3 di circa 2000 headcounts. Codesto lavoro ci rivela una sostanziale, generalmente elevata, presenza femminile a tutti i livelli ( N-1: 70%-30%. N-2: 65%-35%. N-3: 60%-40%), ma se analizzati in maggior dettaglio, ad esempio, troviamo che al livello N-1 è quasi impossibile trovare Manager tecnici donna (direttori di stabilimento- direttori di produzione) il che banalmente, considerato il fenomeno dal punto di vista dell’head hunter, ci impedirebbe di ottemperare alla richiesta di una multinazionale che, per ragioni di gender balance, commissionasse una ricerca di un direttore di stabilimento di genere femminile.

A livello N-1 tuttavia, le organizzazioni sono in rapida evoluzione sia per effetto delle normative che impongono quote rosa nei Board delle aziende, sia per le pressioni che nelle multinazionali arrivano dall’esterno sulla parità di genere e ad oggi, a soli due anni, possiamo certamente affermare non solo che il dato di N-1 è in rapida evoluzione, ma anche che proprio a livello apicale, si osserva un certo avvicendamento di genere.

A livello N-2 e N-3 invece, la situazione sembra sostanzialmente invariata. Sorge quindi una nuova osservazione sempre dal punto di vista dell’head hunter: si riscontra una decisa prevalenza di rinunce a nuove opportunità professionali da parte di donne in posizioni apicali. Questo perché, con molta probabilità, esiste una maggiore sensibilità e quindi una maggiore attenzione da parte delle aziende verso un membro di comitato direttivo donna per l’importanza che le quote di genere rivestono almeno nelle aziende multinazionali. Dobbiamo quindi, come professionisti della ricerca di top managers rinunciare ad approcciare le top managers per evitare rinunce? Da ultimo poi, se ampliamo il nostro angolo d’osservazione verso le aree della formazione e verso la scuola e ci spingiamo a considerare in termini meramente statistici i trend di performance scolastiche, notiamo come il divario tra maschi e femmine sia rappresentabile da una forbice in progressivo allargamento.

Anche per effetto di una banale previsione che si auto-avvera ( ad esempio, nell’immaginario collettivo le femmine vengono considerate “più brave” dei maschi). Questo nell’arco di pochi anni avrà un deciso impatto sull’ingresso nel mondo del lavoro. Già oggi lavorare sui “talenti”, cioè sui giovani di potenziale significa faticare a rispettare delle quote di genere…… azzurro!!! A parità di età le femmine sono in generale più performanti dei maschi non solo in termini di risultati scolastici, ma anche di esperienze, nelle competenze linguistiche, nelle capacità relazionali. Se solo consideriamo il dato di Medicina, ad esempio, la facoltà che tradizionalmente ha la più elevata ratio tra numero di iscritti e numero di laureati, se il trend non cambia, in Europa sarà difficile reperire medici maschi nell’arco di due generazioni.

Riassumendo, ovviamente tutto questo non potrà che avere impatto sulle organizzazioni, ma anche sull’assetto sociale. Difficile allo stato attuale fare previsioni. Anche i fans delle quote rosa al momento non possono affermare con certezza che gli ambienti molto femminili saranno migliori. Forse, un scenario possibile possiamo immaginarlo nel mondo dei giocattoli: insieme con Barbie manager, un Ken casalingo!

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