La malattia ai tempi del web 2.0: una riflessione su “vaccination”

Marika Vezzoli, Università degli Studi Brescia

Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe”. Mark Twain

Il termine Web 2.0 si riferisce all’insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono un elevato livello di interazione tra il sito web e l’utente finale (fra gli altri: Twitter, Facebook, Youtube). Tra il 2000 e il 2010, gli utenti sono in effetti passati dalla consultazione passiva del web (web 1.0), alla partecipazione attiva, pubblicando contenuti, opinioni e dando vita a gruppi di discussione su varie tematiche. Ripercorriamo brevemente le fasi evolutive più importanti che hanno contraddistinto il fenomeno del Web 2.0 partendo dal 2006, quando le persone che usavano internet in Italia assommavano a circa 20 milioni.

Da alcune ricerche svolte in quegli anni sui contenuti delle consultazioni effettuate dagli utenti era emerso che la grande maggioranza degli utilizzatori (circa il 78%) si era più volte concentrata su informazioni di carattere sanitario. Per meglio comprendere questa tendenza, nel 2007 Google Italia decide quindi di svolgere una indagine sul tema, riscontrando che nei 12 mesi precedenti la rilevazione, gli utenti avevano navigato in rete per trovare informazioni su malattie, disturbi e problematiche varie quali il mal di schiena, il mal di testa e, soprattutto, le malattie stagionali. A questo punto, Google, intuendo la potenzialità di utilizzare le informazioni tratte dalle ricerche internet per formulare previsioni sulle malattie, decide di lanciare nel 2008 Google Flu Trends. Questo strumento, basato su algoritmi statistici di grande complessità, era stato concepito nell’obiettivo di prevedere l’intensità e i movimenti del virus dell’influenza, monitorando altresì la numerosità delle ricerche sul web che avessero utilizzato i termini associati alla malattia (brividi, debolezza, ecc.). Nasceva in questo modo la Digital Epidemiology, ovvero la rilevazione e l’analisi in tempo reale dei dati digital, mobile o social per migliorare la salute pubblica o prevenire/ridurre al minimo i focolai di malattia.

In un rapporto del 2008 per gli Stati Uniti d’America, Google Flu Trends riesce a prevedere le epidemie di influenza fino a 10 giorni prima del Centers for Disease Control and Prevention, che usa invece un campione significativo di “medici sentinella” sparsi sul territorio americano. Tuttavia, col passare degli anni, ed in particolare a partire dal 2011, Google Flu Trends evidenzia errori di previsione in eccesso e in difetto rispetto agli effettivi focolai. Le ragioni di tali errori furono molteplici, sebbene la spiegazione più ovvia era da ricondurre al fatto che “l’intensità” di ricerca di termini associati all’influenza non era più una stima affidabile del numero effettivo di malati. Per questo motivo, e per l’oggettiva impossibilità di controllare il numero delle cosiddette “ricerche a vuoto”, dal 2014 questo indicatore fu dismesso. Successivamente Google sviluppa un nuovo strumento: “Google Trends”, che si presenta come una generalizzazione di Google Flu Trends, permettendo di conoscere quante volte un qualsiasi termine viene utilizzato in un determinato periodo di tempo e in una specifica area geografica (l’indicatore monitora le ricerche di 28 paesi fra cui compare anche l’Italia). Google Trends permette inoltre di confrontare l’andamento delle ricerche di più termini simultaneamente. A questo proposito, va ricordato che i risultati delle ricerche sono normalizzati (ogni punto dati viene diviso per le ricerche totali dell’area geografica nel periodo considerato e i risultati vengono poi scalati in un intervallo da 0 a 100 in base alla proporzione dell’argomento su tutte le ricerche degli argomenti complessivamente considerati). Si comprende facilmente quanto Google Trends sia importante nell’eseguire esperimenti di Digital Epidemiology. Invero, tra le ricerche raggruppate in macro categorie compare anche il cluster “Salute”, all’interno del quale è possibile monitorare le ricerche più frequenti a livello globale.

La riflessione che si propone in questo articolo si concentra su un tema che di recente ha raccolto grande interesse: la Vaccinazione trivalente MPR e l’Autismo.

Il tutto ha origine nel 1998, quando il medico britannico Andrew Jeremy Wakefield insieme ad altri colleghi pubblica un articolo sulla prestigiosa rivista Lancet (Wakefield et al., 1998). Quell’articolo sosteneva che vi fosse una forte correlazione tra il vaccino trivalente MPR (morbillo, parotite, rosolia) e la comparsa dell’autismo. Come era prevedibile, l’articolo innescò in tutto il mondo scetticismo verso i programmi di vaccinazione, con la conseguenza che un numero via via crescente di bambini non si sottopose all’immunizzazione contro morbillo, parotite e rosolia. Si scoprì solo successivamente che i dati delle analisi furono intenzionalmente alterati e manipolati; in altri termini non vi era alcuna correlazione significativa. Ed infatti, nel gennaio 2010 i giudici di un tribunale britannico stabilirono che Wakefield aveva agito “in modo disonesto e irresponsabile” e che le sue ricerche non avevano nessun fondamento scientifico. Lancet pubblicò immediatamente una completa ritrattazione dell’articolo (The Editor of the Lancet, 2010).

Tuttavia, ancora oggi diversi gruppi anti-vaccinazione fanno riferimento a quegli stessi risultati falsi di Wakefield, elevati a “prova scientifica” (sebbene smentita ufficialmente) in merito ai gravi effetti collaterali che provocherebbero i vaccini. È in un tale contesto che vanno letti i dati sulle vaccinazioni, i quali evidenziano una tendenza preoccupante sul numero dei bambini che non si sottopongono alla vaccinazione MPR (nel quinquennio 2008-2013, circa 358.000 in Italia).

Un interessante esperimento sul tema che può essere eseguito ricorrendo a Google Trends consiste nel digitare i termini “Vaccinazione trivalente MPR + autismo”. Ebbene, se la ricerca viene effettuata per l’Italia negli ultimi 5 anni (ovvero in un periodo successivo alla smentita del Lancet), si nota che gli “internauti” continuano a ricercare questi termini, in particolare nel mese di aprile (Figura 1, serie verde). Risultati analoghi emergono eseguendo la ricerca a livello mondiale (digitando i termini: “Measles Mumps Rubella vaccination + autism”). Come si osserva nel grafico sottostante (Figura 1, serie rossa), l’evoluzione temporale delle ricerche effettuate esibiscono picchi coincidenti con le ricerche condotte in Italia.

È su queste preliminari osservazioni che stiamo orientando i nostri studi, facendo inoltre uso della sentiment analysis che permetterà di meglio comprendere il “profilo genitoriale” (titolo di studio/reddito/residenza/etc.) maggiormente influenzabile dai movimenti anti-vaccinazione, anche nell’obiettivo di costruire un sistema di previsione di questo fenomeno.

Figura 1 – Ricerche su Google Trends dal 25/03/2012 al 19/03/2017

google flu

The Editors Of The Lancet (2010), RetractionIleal-lymphoid-nodular hyperplasia, non-specific colitis, and pervasive developmental disorder in children, in Lancet, Feb 6; 375(9713): 445.

Wakefield AJ1, Murch SH, Anthony A, Linnell J, Casson DM, Malik M, et al. (1998). Ileal-lymphoid-nodular hyperplasia, non-specific colitis, and pervasive developmental disorder in children. Lancet, Feb 28; 351(9103): 637-41.

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