Formazione e distribuzione del reddito nei gruppi sociali

Roberto Fantozzi – Elisabetta Segre[1]

 

L’intensità della recente crisi economica ha portato nuovamente al centro del dibattito, economico e politico, il problema delle diseguaglianze. Il Rapporto annuale 2017 dell’Istat ha affrontato in maniera approfondita il tema, proponendo al tempo stesso una nuova chiave di lettura dei gruppi che compongono la società italiana. Nello specifico, questo intervento riprende alcune analisi proposte nel Rapporto in merito alle diseguaglianze economiche, realizzate utilizzando la classificazione dei gruppi sociali individuata nel Rapporto stesso.

Per effetto della crisi, la diseguaglianza economica è aumentata nella maggior parte dei paesi europei, e gli effetti maggiori si sono registrati in termini di diseguaglianza dei redditi di mercato (lavoro e capitale). Solo l’azione redistributiva pubblica è riuscita in parte a mitigare questa dinamica, strettamente legata alla composizione all’interno dei gruppi delle diverse tipologie reddituali.

Analizzando il legame tra reddito disponibile degli individui e diseguaglianza nella sua distribuzione emerge come in Italia, nel 2015, il 64% della diseguaglianza è spiegata dalla componente redditi da lavoro. Le pensioni costituiscono la seconda fonte di reddito per importanza e contribuiscono al 20% della diseguaglianza. I redditi da capitale, pur concorrendo a formare una quota contenuta dei redditi disponibili, generano il 6% della diseguaglianza totale. Infine, le imposte sugli immobili, i trasferimenti inter-familiari come gli assegni di mantenimento e l’autoproduzione mostrano, complessivamente, sono le uniche voci a mostrare un effetto perequativo.

Il peso dei redditi da lavoro dipendente non è uniforme tra i vari gruppi sociali oscillando tra il 15,6% delle famiglie di operai in pensione e il 74,8% delle famiglie a basso reddito con stranieri. Il contributo relativo di questa fonte è stimato in crescita, rispetto al 2008, per gli individui appartenenti alle famiglie di impiegati (da 62,1 a 65,8%) e per i giovani blue-collar (da 71,8 a 74,1%). Diminuisce invece la quota del lavoro autonomo, in particolare tra i componenti delle famiglie degli operai in pensione e delle pensioni d’argento (rispettivamente da 18,3 a 13,3% e da 26,7 a 22,1%).

 

Composizione del reddito medio disponibile familiare per fonte di reddito e gruppo sociale – Anno 2015

 

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Fonte: Indagine Eu-Silc

Le difficili condizioni del mercato del lavoro generate dalla crisi economica, hanno contribuito ad un aumento dei redditi derivanti da trattamenti non pensionistici. nei gruppi sociali più esposti a eventi di disoccupazione. In particolare, nelle famiglie a basso reddito con stranieri questa voce registra un incremento di 2,5 punti percentuali, mentre è di 1,9 punti percentuali per le famiglie con anziane sole e giovani disoccupati.

Con l’ausilio del modello di microsimulazione sulle famiglie (FaMiMod), aggiornato al 2016, è stato valutato l’effetto complessivo del sistema di imposte e trasferimenti confrontando la diseguaglianza dei redditi di mercato (lordi) con la diseguaglianza calcolata sui redditi disponibili. I trasferimenti aumentano sensibilmente (in misura superiore al 5%) il reddito del 60% delle famiglie, in particolare di quelle in cui sono relativamente più importanti le entrate da pensioni previdenziali e assistenziali e i sostegni per il lavoro e alla famiglia. Più in dettaglio nel passaggio dal reddito di mercato a quello lordo, si osserva un miglioramento per: famiglie degli operai in pensione, anziane sole e giovani disoccupati, famiglie a basso reddito sia con stranieri, sia di soli italiani, pensioni d’argento, famiglie tradizionali della provincia e giovani blue-collar. Di contro, l’effetto dei contributi e delle imposte colpisce i gruppi sociali maggiormente presenti sul mercato del lavoro. Infatti, esclusivamente per i gruppi delle anziane sole e giovani disoccupati e dei pensionati, la quota di famiglie il cui reddito rimane stabile supera il 10 per cento (rispettivamente il 35 e il 14%).

Complessivamente, in Italia, la capacità redistributiva dell’intervento pubblico risulta tra le più basse in Europa, nel corso della recessione è aumentata meno che altrove mostrando la difficoltà del sistema welfare nel contrapporsi alle forze di mercato. La gran parte dell’azione redistributiva è attribuibile ai trasferimenti previdenziali che, nel caso di pensionati senza altre fonti di entrata, assicurano un reddito disponibile a persone con redditi di mercato nulli, mentre un ruolo modesto è ricoperto dai trasferimenti di sostegno al reddito quali gli assegni al nucleo familiare o i sussidi di disoccupazione.

[1] Istituto Nazionale di Statistica. In questo articolo le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo l’Istituto di appartenenza.

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