Open data e digitalizzazione della PA: L’Italia si caratterizza ancora dall’assenza di una visione politica chiara e lungimirante

Giuseppe Pirlo

Referente dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro per Agenda Digitale e Smart City

Delegato dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro alla Sperimentazione 5G

Presidente AICA Puglia

 

Fabio Manca

Dipartimento di scienze della formazione psicologia e comunicazione, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”

 

In Italia, il processo di digitalizzazione della PA si è finora contraddistinto per la sostanziale e cronica distanza esistente tra proclami e risultati concreti, manifestazioni di interesse e attuazione di progettualità efficaci. Il risultato è quello di una digitalizzazione narrata ed evocata continuamente ma mai concretamente realizzata, spesso lontana dalle esigenze dei cittadini e delle imprese, quando non addirittura ostile.

Alla base di questa situazione vi è certamente la complessiva mancanza di una visione politica chiara e lungimirante per lo sviluppo del digitale che, ancora oggi, viene considerato come un asset marginale rispetto ad altri domini. Manca infatti ancora la consapevolezza piena dell’importanza del digitale quale asset strategico trasversale per la crescita sociale ed economica del Paese.

Una chiara evidenza di quanto sopra specificato è rappresentata dal settore degli open data per il quale moltissimo è ancora da realizzare per poterli usare concretamente per migliorare i servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione. Esistono infatti moltissimi data base open gestiti dalla Pubblica Amministrazione, ma risultano spesso lacunosi e quasi mai aggiornati sistematicamente. Questo ovviamente limita la possibilità di creare valore dai dati e impedisce la crescita delle tante start up che proprio sull’uso di open data hanno realizzato le loro applicazioni e definito il loro modello di crescita. L’adozione di sistemi open data dovrebbe invece favorire il riuso dei dati e facilitarne la pubblicazione e la diffusione, ma questo processo di cambiamento procede a macchia di leopardo, essendo spesso affidato alla “buona volontà” dei singoli, quanto non apertamente osteggiato dalle amministrazioni.

 

Tra i paesi più avanzati l’Italia è quello che mostra il ritardo più ampio nei processi di digitalizzazione dell’economia.

Nel 2016, secondo le statistiche più recenti prodotte da Eurostat, ha utilizzato i servizi di e-gov solo il 24% della popolazione residente in Italia. La media dell’Area euro è invece pari al 52%, in aumento di due punti percentuali rispetto all’anno passato. Quindi, il divario rispetto al resto d’Europa invece che restringersi si è ulteriormente allargato. Tra i paesi europei l’Italia è il fanalino di coda insieme a Romania e Bulgaria.

La nuova governance del Paese dovrà quindi confrontarsi rapidamente con un’idea più moderna di digitalizzazione. Ad esempio dovrà in primo luogo reinterpretare il cambiamento della PA in continuità con il lavoro svolto ma con maggiore decisione e coraggio, centralizzando decisioni strategiche e valorizzando le enormi competenze e capacità che localmente si sono costituite.

L’incapacità infatti di porre il digitale al centro delle politiche nazionali, come strumento trasversale per la crescita dei diversi domini applicativi (eGovernmentsanitàscuolagiustiziaturismo, ecc.) è resa evidente dalla difficoltà politica e manageriale di condividere un piano organico e strutturale di digitalizzazione e la conseguente disomogeneità con la quale i diversi livelli della PA (centrale, regionale, locale) sono stati costretti finora ad agire, frammentando le azioni messe in campo in una molteplicità di interventi non sempre coerenti e spesso tra loro contraddittori. Questa criticità è resa maggiormente problematica dalla molteplicità delle fonti di finanziamento alle quali le PA sono state costrette a fare riferimento, anche considerando differenti modalità, tempistiche e vincoli di erogazione dei fondi, rendendo di fatto impossibile svolgere azioni di sistema, che sono proprio quelle di cui il Paese ha necessità.

Per poter affrontare questa situazione è indispensabile definire una nuova politica condivisa che sia in grado di superare i principali fattori che ancora oggi concorrono a limitare, se non a fermare, la spinta all’innovazione che pure è presente dentro e fuori la PA ma che si ha ancora grande difficoltà a mettere a valore.

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