Quel mai… è invece arrivato. Anche il turismo è un paziente che va curato

Francesca Petrei – ISTAT [1]

Già prima della spaventosa crisi dovuta alla diffusione del Covid-19, il sistema turistico italiano mostrava alcuni segni di debolezza.
Vecchi e nuovi problemi devono essere affrontati subito con un cambio di prospettiva e con misure politiche urgenti per fare in modo di dare la concreta speranza al comparto del turismo di riprendere con il giusto vigore.

È accaduto quello che mai ci si aspettava potesse succedere. I flussi turistici verso (e da) l’Italia si sono fermati e le strutture ricettive nella loro maggioranza sono chiuse o riconvertite per finalità medico-sanitarie: in pochi giorni, dai problemi legati all’overtourism si è passati a luoghi deserti.

Una condizione che comporta un enorme danno economico per il Paese, considerata la notevole importanza che l’intera filiera turistica italiana riveste per la nostra economia: una quota del 9,3% del valore aggiunto complessivo è prodotto, infatti, dalle imprese coinvolte nella produzione di servizi per il turismo [2]. Oltre che su tutto l’indotto, il grave impatto della crisi in corso riguarda anche i bilanci dei comuni, soprattutto i più turistici, ai quali vengono meno gli introiti relativi alla tassa di soggiorno.

Da sempre l’Italia è riconosciuta come la meta turistica più ambita al mondo [3] e negli ultimi anni sono stati registrati continui record di presenze turistiche, si arriva a circa 433 milioni nel 2019, di cui più della metà di clienti stranieri. In realtà, però, alcuni segnali di debolezza del sistema turistico italiano incominciavano già ad emergere prima della crisi dovuta al diffondersi della pandemia da Covid-19: i dati Istat raccontano un 2019 altalenante in termini di flussi con un andamento sostanzialmente stabile rispetto al 2018 (+1,2% delle presenze) [4]. Se ci confrontiamo poi con gli altri paesi europei si rileva che la capacità di attrarre turisti è risultata inferiore, negli ultimi dieci anni, sia rispetto ad alcuni storici competitors (Spagna, Regno Unito e Germania), sia rispetto a paesi ora emergenti come nuove destinazioni turistiche (per esempio, Lituania e Lettonia). [5]

Questa violenta e inaspettata battuta d’arresto deve dunque suonare, a maggior ragione, come un campanello di allarme urgente. Ora c’è da affrontare un inevitabile periodo, e non si sa quanto lungo, di inattività forzata, ma per dare la concreta speranza al comparto del turismo di riprendere con il giusto vigore bisogna agire subito.
Le azioni da portare avanti oggi devono avere due scopi, uno a breve termine: quello di dare strumenti certi alle imprese e a tutti gli operatori dell’intera filiera turistica per “salvarsi” e sopravvivere alla crisi; l’altro, di più lungo periodo: prevedere azioni lungimiranti per preparare il terreno della ripresa.
Non si può più pensare che il turismo italiano vada avanti di vita propria solo grazie alle bellezze culturali e paesaggistiche di cui il paese è dotato.

È giunto il momento di ripensare profondamente l’attuale struttura della governance del turismo in Italia che, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione e della Legge 135 del 2001, ha visto una organizzazione caratterizzata da differenziati modelli di governance turistica regionale. Ciò da un lato ha permesso una efficiente gestione da parte del livello di governo più vicino ai problemi e alle peculiarità locali. D’altro canto, è innegabile quanto l’efficienza sia stata differente da regione a regione a seconda delle risorse umane ed economiche che ogni ente può mettere in campo su questo settore. Inoltre, questo modus operandi a livello locale sembra non aver mai incontrato un vero momento di sintesi a livello nazionale. Ciò ha come conseguenza principale il non avere una strategia univoca che si occupi delle questioni più urgenti, ma al contrario una infinita serie di politiche frammentate e, quindi, spesso poco lungimiranti e dai risultati poco concreti.

Vecchi e nuovi problemi hanno, invece, necessità di una governance diversa che abbia potere di indirizzo politico e legislativo, oltre che risorse per concepire nuove prospettive.

Il primo strumento fondamentale per avere un esatto quadro del fenomeno è un sistema informativo adeguato, che metta a sistema le diverse fonti disponibili, a partire da quelle amministrative, per avere reale contezza di tutti gli aspetti legati al fenomeno con la giusta tempestività. Un unico sistema condiviso ai vari livelli di governance che fornisca dati certi, trasparenti e che rispettino i principi di qualità statistica.

In secondo luogo, è necessario entrare nella logica che consideri il turismo una vera competenza distintiva e una leva strategica in grado di garantire uno sviluppo realmente sostenibile e che, come tale, abbia bisogno di leggi chiare e univoche per tutto il paese. Va corretta, ad esempio, la mancata regolamentazione tipica del fenomeno esploso negli ultimi anni legato all’economia digitale che ha enormemente influito sulla mercificazione di interi quartieri e città, favorendo una concorrenza sleale, oltre che trasformando alcune città d’arte in luoghi iper-affollati e meta di un turismo poco rispettoso di storia e di bellezza.

C’è poi la necessità di una analisi approfondita su quali siano le reali dotazioni dei territori, non solo materiali ma anche intangibili, per intraprendere azioni mirate per implementarle al meglio, nell’ottica di una strategia di più ampio respiro. La formazione deve diventare un asset fondamentale a partire dal diffondere la cultura dell’accoglienza che diventa essa stessa competenza distintiva. I professionisti lavoratori nel turismo devono essere formati attraverso percorsi di studio specifici davvero qualificanti e avere poi i giusti riconoscimenti economici e contrattuali.

Infine, c’è bisogno di specialisti che sappiano intercettare le nuove caratteristiche della futura domanda turistica: inevitabilmente, dopo l’impatto così violento che l’epidemia in corso sta avendo sulle vite di tutti i cittadini del mondo, sulle abitudini e sulle priorità, assisteremo a un cambio di paradigma e a nuovi modi di approcciarsi alla dimensione del viaggio e della vacanza.

Dunque, nulla può essere lasciato al caso. Anche il turismo va curato e va fatto ora. Si tratta di un paziente fondamentale, perché è in una posizione unica per guidare la ripresa economica futura dell’intero paese.

 

[1] Il contenuto di questo articolo non riflette l’opinione ufficiale dell’Istat e la responsabilità delle informazioni e delle opinioni espresse ricade interamente sull’autrice. Email: petrei@istat.it
[2] Elaborazioni su dati Istat, Asia imprese – Anno 2017. Si tratta del complesso delle attività imprenditoriali (trasporti e passeggeri, alloggi e ristoranti, noleggio e agenzie di viaggio, servizi per l’intermediazione immobiliare, attività culturali, ricreative e sportive) coinvolte nella produzione di servizi per il turismo anche se, nella gran parte dei casi, e in misura differente da un caso all’altro, solo una parte della produzione di queste industrie è destinata in modo diretto alla soddisfazione della domanda turistica. Per ulteriori dettagli si rimanda a Istat, Rapporto Annuale, 2019.
[3] Future Country Brand Index – Anno 2019.
[4] Dati Istat, Movimento dei clienti negli esercizi ricettivi – Anno 2019, provvisori. Per una più ampia disamina del turismo in Italia si rinvia a Istat, Ruolo e performance del sistema turistico italiano, in Rapporto competitività, 2020 (p. 70).
[5] Dati Eurostat, Occupancy in accommodation establishments. Dal 2010 si rileva un trend positivo per l’andamento delle presenze turistiche in Italia, ma avvenuto a tassi di crescita inferiori a quelli europei, determinando una perdita in termini di quote sul totale delle presenze Ue (-2 punti percentuali circa nel 2019 rispetto al 2010).

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