Il ruolo dei big data nel cambiamento del business model delle banche

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Giancarlo Nicola

Il mondo della finanza italiana in questo periodo vive una situazione di difficoltà e al contempo di fermento caratterizzato da una forte componente tecnologica. Da un lato infatti abbiamo le problematiche delle banche che faticano a presentare agli investitori redditività soddisfacenti, dall’altro abbiamo la spinta innovatrice proveniente da fintech e banche stesse, basata sulla digitalizzazione e sull’introduzione di tecnologie come i big data e i predictive analytics, in risposta ad una necessità di efficientamento delle strutture.  Queste tecnologie non sono l’unico strumento di risposta delle banche alle difficoltà del momento ma sono tra quelli che possono conferire un vantaggio competitivo nel lungo periodo e che rispondono a delle criticità importanti alla base della crisi attuale, come la stima del rischio di credito e il rischio sistemico interbancario. La crisi di redditività delle banche Italiane infatti affonda le sue radici in molteplici fattori macroeconomici, regolatori e sistemici. Di particolare rilievo sono il nodo delle sofferenze e degli incagli, i maggiori requisiti di capitale imposti da Basilea III e le incertezze gettate sull’intero sistema bancario italiano dagli istituti più rischiosi. La concomitanza e il perdurare di questi fattori ha portato ad una perdita di fiducia da parte degli investitori, riflessa nelle basse valutazioni di borsa. Operativamente per le banche ciò si traduce in una maggior necessità di efficienza e valorizzazione del capitale impiegato ancor più accentuata rispetto a prima. Tra le possibili risposte a questa necessità sempre più istituti stanno puntando sulla monetizzazione dell’enorme mole di dati in loro possesso. Le banche infatti, insieme alle TelCo e agli operatori di pagamenti (Paypal, CartaSi, American Express, etc.) sono tra le organizzazioni più ricche di dati sui propri clienti, in termini sia qualitativi che quantitativi. Classicamente i dati strutturati di cui dispongono coprono il rating creditizio, i livelli di spesa, gli investimenti e le informazioni anagrafiche dei clienti. A questi poi si aggiungono dei dati non strutturati che, se opportunamente archiviati ed analizzati, possono andare ad integrare i primi. Un esempio attuale è l’analisi testuale delle descrizioni delle causali dei movimenti, resa possibile dal forte avanzamento nell’analisi di dati testuali non strutturati avutosi a livello accademico dai primi anni duemila e che si è concretizzato in termini di soluzioni di mercato negli ultimi anni. Le informazioni estratte dalle causali, unite ai classici dati strutturati in possesso delle banche, permettono una profilazione a tutto tondo del cliente, con un dettaglio molto elevato, sia esso una persona fisica o giuridica. Il risultato è una maggior conoscenza del cliente stesso data dalla precisione nella ricostruzione del profilo di spesa con l’identificazione delle aree di interesse o da una stima più precisa del rischio di credito. Questo tipo di informazioni possono essere usate per l’identificazione di potenziali clienti per eventuali campagne di marketing, per migliorare il rischio di credito andando a definire  degli early-warning oppure per analizzare il legame nel proprio network di clienti e quindi il contagio del rischio tra un cliente e l’altro (in particolare per le aziende). La monetizzazione del dato quindi avviene principalmente attraverso tre meccanismi: tramite l’efficientamento del core business (es. miglior stima del rischio di credito), l’ampliamento dell’offerta con  nuovi servizi adiacenti al core business (es. analisi delle spese personali e rendicontazione automatica) e lo sviluppo di nuovi servizi extra rispetto al core business della banca (es. offerte personalizzate sul profilo di spesa del cliente). Per cogliere appieno il potenziale derivante dai dati è quindi necessario avere una strategia che comprenda tutte e tre le principali modalità di monetizzazione. Questo può avvenire interamente all’interno della banca oppure esternamente tramite partnership e outsourcing, l’importante è riuscire a trarre vantaggio da tutte le possibili applicazioni che possano beneficiare delle analisi svolte. Infatti il business dei dati, come quello bancario, è un business principalmente di costi fissi e forti investimenti iniziali dovuti al team, all’infrastruttura, alle licenze software e al mantenimento di basi dati di qualità, è quindi fondamentale estrarre il maggior valore possibile dalle analisi una volta effettuate. Il business model delle banche oggi (siano esse banche d’investimento, retail o wholesail) è solo parzialmente orientato alla monetizzazione del dato a causa di limitazioni nell’offerta di prodotti e servizi e di una ridotta centralità e personalizzazione sul cliente. Per questo motivo, nel corso di un processo che è già iniziato le banche vedranno il loro business model contaminarsi e adattarsi gradualmente per cogliere maggiormente il valore dei dati e degli analytics, come d’altronde è successo con la diffusione di internet e la successiva digitalizzazione della banca.

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