L’impatto differenziale del Covid-19 secondo i gruppi sociali

Ignazio Drudi – Università di Bologna
Giorgio Tassinari  – Università di Bologna

Nell’articolo si affronta il tema dell’impatto differenziale dell’epidemia di COVID-19 e si tratteggiiano alcune linee di ricerca.
Il concetto di classe sociale è inteso in senso marxiano-weberiano, ovvero come rapporto con i mezzi di produzione e in termini di potere/prestigio.
Gli aspetti trattati riguardano la mortalità differenziale dovuta al COVID-19 e l’impatto della chiusura degli istituti scolastici sulla povertà educativa.

La crisi sanitaria provocata dal Coronavirus, palesemente una crisi di salute pubblica, ha esasperato le diseguaglianze economiche e sociali che già affliggevano l’Italia, ed è stata così grave proprio in ragione di quelle disuguaglianze.
La pandemia globale provocata dal COVID-19 costituisce un punto di rottura nell’evoluzione del sistema-mondo assai più importante di altri shock abbastanza recenti quali la Grande Recessione del 2008 o l’attacco alle Torri Gemelle del 2001. Che poi si tratti di shock esogeni oppure di shock endogeni (ovvero prodotti dalla dinamica del sistema-mondo) è questione assai complessa che non vorrei affrontare qui, anche se, personalmente, sono portato a ritenerli più endogeni che esogeni.  Il dibattito sugli effetti del COVID-19 è già molto ampio, con particolare attenzione alle conseguenze di carattere economico-sociale. Cerchiamo di inquadrare in modo molto astratto questi effetti attraverso un semplice modello univariato.

Possiamo immaginare, in modo assai semplificato, che gli effetti del coronavirus sul piano economico sociale siano “governati” da un modello a ritardi distribuiti, ad esempio un modello ad aggiustamento parziale come il seguente:

2020-04-03 06_34_06-16 Tassinari GLI EFFETTI DIFFERENZIALI DEL CORONA-VIRUS.docx - Word

in cui

  • Yt è la variabile di interesse, ad esempio il numero di disoccupati o il numero di famiglie sotto la soglia di povertà;
  • CVit  rappresenta l’epidemia di coronavirus, o meglio le diverse misure di politica sanitaria ad essa connesse;
  • Xjt  rappresenta le variabili esogene di politica economica e sociale (ad esempio il reddito di emergenza o la cassa integrazione in deroga, oppure le misure di politica monetaria);
  • et  è un white noise.

Pertanto possiamo distinguere tra effetti di breve periodo (dati da bi) ed effetti di lungo periodo dati da Sbi/(1-d). Il parametro d misura il trascinamento tra il tempo t-1 e il tempo t della variabile dipendente Ovviamente, affinchè il sistema raggiunga un equilibrio, è necessario che d sia inferiore ad uno.

Questo schema ipersemplificato serve soltanto a fissare una linea di ragionamento, non ha ovviamente pretese realistiche. Mette però in evidenza la distinzione tra effetti di breve periodo (o meglio contemporanei) e quelli di lungo periodo.

Vorremmo concentrarci in primo luogo  sugli effetti di breve periodo, e  ciò che vorrei cercare di approfondire nel seguito concerne alcuni aspetti dell’impatto del COVID-19 secondo la classe sociale di appartenenza.  Il termine classe sociale è qui impiegato con riferimento all’accezione marxiana –weberiana che definisce le classi sociali sia in termini di rapporto con i mezzi di produzione sia in termini di potere/prestigio I fenomeni su cui si appunta la nostra attenzione riguardano la mortalità secondo la classe sociale e l’inasprimento della povertà educativa.

Per quanto riguarda il primo aspetto, dell’epidemia di COVID-19 nel nostro paese sono noti il profilo dei deceduti per classe di età e la zona territoriale in cui è avvento il decesso (a maglie abbastanza larghe). Al contrario, non sono ancora noti i dati dettagliati per CAP di residenza dei deceduti, dai quali risulterebbe non troppo difficile inferire la classe sociale di appartenenza dei deceduti, vista la segregazione che sussiste nell’insediamento urbano delle classi sociali (vedi tra gli altri Athos Bellettini, La città e i gruppi sociali, Bologna, CLUEB, 1991). Inoltre, poiché la letalità del COVID-19 è strettamente connessa allo stato di salute dei pazienti, ne deriva che la classe sociale (strettamente connessa allo stato di salute) potrebbe aver esercitato un impatto indiretto sulla letalità. Come insegna l’ampia letteratura in merito, al di là dei fattori di rischio soggettivo e idiosincratici, lo stato di salute di una popolazione è in primo luogo un fatto sociale.

Possiamo renderci conto di questo fatto già osservando il grafico e la mappa di Fig.1, che mostrano la speranza di vita alla nascita nel 2016 per regione e provincia [1].

Fig. 1: Speranza di vita nelle regioni e nelle province italiane

Fig. 1: Speranza di vita nelle regioni e nelle province italiane

La connessione tra speranza di vita e livello di sviluppo socioeconomico appare evidente. Ulteriore conferma delle differenze nella speranza di vita secondo la (precedente) posizione nella professione la si ottiene  osservando le curve di sopravvivenza secondo la posizione nella professione (durante la vita attiva), tratte dalla Tesi di Dottorato di Carlo Lallo (La Sapienza) (Fig.2)[2]

Fig. 2: Curve di sopravvivenza per diversi gruppi sociali

Fig. 2: Curve di sopravvivenza per diversi gruppi sociali

Come è ben noto d’altra parte la definizione di gruppo sociale non è legata soltanto alla professione e alla posizione nella professione, ma è basata anche su altre variabili. Facendo riferimento a quelle risultate significative nell’analisi contenuta nel Rapporto Istat del 2016, queste sono, oltre alla condizione professionale, il numero di componenti, la presenza di stranieri nel nucleo familiare, il titolo di studio. Diversi studi infatti mettono in luce che sussiste una mortalità differenziata secondo questo carattere.

Altrettanto discriminante rispetto alla mortalità è l’uso dell’indice di deprivazione, che come noto è una misura multidimensionale di svantaggio relativo solitamente calcolata a livello di aggregati geografici. Può essere usato per descrivere le caratteristiche sociali del contesto di vita, ma il principale utilizzo è come proxy del livello di svantaggio sociale individuale, soprattutto in ambiti in cui i dati a livello dei singoli individui sono difficilmente accessibili o non disponibili. In questo contesto, l’obiettivo principale dell’uso dell’indice di deprivazione è valutare la sua capacità di cogliere i differenziali sociali a livello individuale attraverso il confronto con i risultati ottenuti utilizzando indicatori di posizione socioeconomica misurati per i singoli soggetti. Possiamo avere un’idea dell’effetto della deprivazione sullo stato di salute attraverso la tavola seguente (tratta dal rapporto Condizioni socioeconomiche e mortalità nello Studio Longitudinale Emiliano, Bologna, Regione Emilia-Romagna, Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, 2019):

Tabella 1: Numero di decessi, tasso di mortalità (per 100.000 anni-persona) per tutte le cause, grezzo e standardizzato per età per terzile di deprivazione, uomini 30-99 anni, SLEm, 2001-2006

Tabella 1: Numero di decessi, tasso di mortalità (per 100.000 anni-persona) per tutte le cause, grezzo e standardizzato per età per terzile di deprivazione, uomini 30-99 anni, SLEm, 2001-2006

Come era lecito attendersi, i tassi di mortalità standardizzati aumentano all’aumentare dell’indice di deprivazione per tutte le classi di età. L’effetto differenziale è massimo per la classe 30-64, ma anche per i grandi anziani (75-99 anni) il tasso di mortalità standardizzato per coloro che sono i più deprivati è di quasi il 20% più alto rispetto ai meno deprivati.

Quanto al secondo aspetto, l’esacerbarsi della povertà educativa, conseguente all’epidemia, è ben noto che  vi è forte diffusione di “bambini perduti”(ovvero quelli con i quali l’istituzione scolastica ha perso i contatti) specialmente  nella scuola dell’infanzia e nella scuola dell’obbligo. Perduti perché non hanno né connessione ad internet, né computer, né smartphone. Perduti perché il livello di istruzione dei genitori è così basso da non rendere possibile la mediazione informatica con gli insegnanti, perduti infine perché in diversi casi sono gli stessi insegnanti a non essere in grado di emettere il segnale.  La dimensione del fenomeno è assai rilevante. Nelle dichiarazioni rese nell’aula del Senato il 26 marzo, la ministra Azzolina ha specificato che circa 6,7 milioni di alunni sono interessati dalle lezioni a distanza (compresi gli alunni delle scuole superiori). Per differenza abbiamo che circa 2,4 milioni di studenti non sono ancora stati interessati dall’insegnamento a distanza. Il Ministero dell’Istruzione non ha ancora reso note le percentuali di copertura per ordine e grado di scuole. Occorre comunque distinguere tra la situazione in cui il “segnale” non sia stato emesso dall’Istituzione scolastica (per tanti motivi, sia oggettivi che soggettivi) e quelli in cui l’alunno/famiglia non è in grado di riceverlo.  Si tenga presente che secondo l’Istat nel 2019   circa il 25% delle famiglie non dispone di una connessione a banda larga (la percentuale è compresa tra il 20,6% del Trentino e il 35,7% della Calabria .

Il piano d’azione assai robusto messo in campo dal Ministero dovrebbe ridurre in modo notevole il numero di alunni non interessati dalla didattica a distanza, ma è purtroppo assai probabile che proprio nelle situazioni di povertà educativa più intensa le conseguenze della crisi COVID-19 saranno le più profonde.  La povertà educativa come è noto è una conseguenza della povertà economica., e le stime più recenti forniscono una dimensione di circa 1,2 milioni di minori che vivono in famiglie sotto la soglia di povertà assoluta. Altrettanto preoccupante è il fatto che lo shock da COVID-19 può avere conseguenze permanenti sugli alunni, ad esempio dando un ulteriore impulso ai fenomeni di abbandono scolastico. Ci sembrerebbe quindi assai opportuno che il Ministero avviasse un’indagine panel (ovviamente campionaria) sugli iscritti all’A.S. 2019-2020.

E si potrebbe continuare a lungo, rimanendo pur sempre alla considerazione degli effetti di breve periodo. La crisi sanitaria provocata dal Coronavirus, palesemente una crisi di salute pubblica, ha esasperato le diseguaglianze economiche e sociali che già affliggevano l’Italia, ed è stata così grave proprio in ragione di quelle disuguaglianze. Ogni programma di “ricostruzione del paese” dovrebbe  secondo noi partire proprio da un robusto piano d’azione orientato alla loro  riduzione sostanziale.

 

[1] fonte: Osservatorio Nazionale della Salute nelle Regioni Italiane, con sede a Roma all’Università Cattolica, ideato dal professor Walter Ricciardi, con un focus sulle disuguaglianze di salute in Italia.

[2] Carlo Lallo, La disuguaglianza di classe sociale nella speranza di vita dopo il pensionamento, Tesi di Dottorato di ricerca in Demografia, XXVI ciclo, Dip. di Scienze Statistiche, “La Sapienza” Università di Roma.

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