I Big Data e le professioni del futuro. Un’indagine del Gruppo Adecco

 

Manlio Ciralli – Chief Brand & Innovation, Gruppo Adecco

Viviamo in una società digitalizzata e sempre più interconnessa, per questo la capacità di raccogliere, elaborare e analizzare la molteplicità di informazioni e dati si traduce in vantaggio competitivo determinante per ogni organizzazione che sappia cogliere valore dai dati interpretandoli in maniera da effettuare scelte corrette e avviare strategie rilevanti.
Il tema dei Big Data è centrale nell’agenda politica e mediatica, ma quali sono le figure professionali legate a questo ambito che saranno più richieste nell’immediato futuro? Quanto le imprese sono consapevoli dei vantaggi che i Big Data possono introdurre in azienda? Lo ha chiesto il Gruppo Adecco a oltre 300 referenti aziendali in Italia attraverso l’indagine “I Big Data e le professioni del futuro” (presentata in occasione dell’omonimo convegno presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, qui il Facebook Live dell’evento). Ne è emerso un quadro che mette in evidenza una scarsa consapevolezza delle sfide e dei vantaggi concreti che i Big Data possono portare all’interno delle imprese in termini di business, scelte strategiche e di produttività.

Sono solo 2 su 10 i referenti aziendali che confermano una conoscenza approfondita del tema Big Data e, in parallelo, appena il 20% coloro che dichiarano che nell’azienda in cui lavorano sono già stati sviluppati concreti progetti legati ai Big Data. Preoccupante è la percentuale di chi, invece, di questo tema non ha mai sentito parlare: si tratta del 39% del campione, mentre la maggior parte (ovvero il 48,7%) ammette di averne una conoscenza solo superficiale, per “sentito dire”, potremmo affermare.

Una consapevolezza scarsa, quella delle aziende interpellate (per lo più medie e grandi, all’interno del campione Adecco), che però percepiscono i Big Data non come rischi ma come opportunità da cogliere. Il “come” è ancora da definire. Inoltre, le aree aziendali percepite come ipoteticamente più impattate dall’avvento dei Big Data sono quella commerciale (64,80%) e quella del marketing (62,40%), mentre è ancora labile la percezione dell’impatto che ingenti quantità di dati possono esercitare sul settore produttivo (29,60%), a conferma di una visione solo parziale delle aziende.

Le figure professionali che le imprese ritengono maggiormente richieste dal mercato del lavoro di domani sono, innanzitutto, il Big Data Analytics Specialist (63,64%) seguito dal Data Content & Communication Specialist (38,64%), dal Big Data Architect (32,95%) e dal Data Scientist (29,55%), in una scelta che va a considerare prevalentemente profili in grado di analizzare e comunicare i dati. Ma queste figure, secondo il campione, sono difficili da reperire sul mercato (54,76%) oppure non esistono proprio (42,86%): solo il 2,38% dichiara il contrario. Gli interlocutori privilegiati per individuare e formare i professionisti dei Big Data vengono riconosciuti negli HR Provider e negli Atenei, protagonisti in un contesto in forte evoluzione e in cui l’innovazione e la digitalizzazione rappresentano la sfida da affrontare. Come Gruppo Adecco, ci impegniamo quotidianamente a creare un ponte tra mondo dell’istruzione e imprese attraverso progetti come TecnicaMente, il Portale dell’Alternanza scuola lavoro e, a breve, l’iniziativa DigitalMente sviluppata dalla società specializzata Modis Italia, in quanto riteniamo fondamentale orientare in maniera concreta gli studenti guidandone le scelte di studio nell’ottica di concrete opportunità di carriera.

E poiché il mercato del lavoro già oggi mostra l’esigenza di professionisti dei Big Data, è necessario superare l’ostacolo del digital mismatch e formare profili competenti in questo settore. Come? Prevalentemente – come conferma la maggior parte del campione intervistato – nella costruzione di un dialogo concreto e nella capacità di avviare partnership tra mondo accademico e mondo delle aziende (73,08%), ma anche definendo percorsi di studi che possano coltivare le skill del futuro (41,03%) e, infine, condividendo opportunità e best practice con università oltre confine (17,95%).

 

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