Considerazioni sulle misure di efficacia dei vaccini anti Covid-19: il caso del vaccino Pfizer

Bruno Cheli

1. Introduzione

Il primo vaccino anti Covid-19 autorizzato in Italia è quello prodotto dalla Pfizer-BioNTech, denominato Comirnaty. Il suo studio clinico è stato pubblicato a fine 2020 sul New England Journal of Medicine su cui, successivamente, è stato pubblicato anche lo studio clinico relativo al vaccino Moderna.

I mass media hanno parlato dei risultati scaturiti da questi due studi con estrema superficialità e parzialità, dando grande enfasi all’elevata efficacia dei due vaccini (95% nel caso di Pfizer e 94% nel caso di Moderna), ma senza preoccuparsi di chiarire il significato della misura utilizzata, né di illustrarne i limiti, ingenerando nel pubblico una visione distorta dei fatti.

 

2. I dati su cui è calcolata l’efficacia del vaccino Pfizer

L’efficacia del vaccino è stata testata su una popolazione di 34.922 soggetti, 17.411 vaccinati e 17.511 che hanno ricevuto il placebo. I casi di Covid-19 (nei 45 giorni di osservazione) sono stati in tutto 170, di cui 8 tra i vaccinati e 162 tra i non vaccinati, come illustrato nella tabella seguente:

Il rischio di contrarre la malattia nel periodo di tempo considerato assume i seguenti valori nei due gruppi messi a confronto:

Rischio per i vaccinati:                            RV = 8/17.411 = 0,046%

Rischio per i non vaccinati:                    RNV  = 162/17.511 = 0,925%

In particolare, RV e RNV sono stime delle probabilità di ammalarsi rispettivamente per chi è vaccinato e per chi non lo è.

Inoltre, il rischio relativo (RR) ci dice che i non vaccinati hanno un rischio di contrarre la malattia di circa 20 volte maggiore rispetto a chi ha ricevuto il vaccino:

RRNV/V = 0,925% / 0,046% = 20,134

Inversamente, una persona vaccinata ha un rischio di infettarsi e ammalarsi del 5% rispetto a una persona non vaccinata:

RRV/NV = 0,046% / 0,925% = 0,04967

 

3. Come viene calcolata la misura di efficacia?

Dato che ciascun partecipante è stato osservato per un tempo variabile a seconda di quando ha ricevuto la prima dose del vaccino, nello studio Pfizer le quantità RV e RNV sono state calcolate dando agli individui al denominatore un peso proporzionale al tempo di osservazione. Tuttavia, data la breve durata dello studio e il fatto che il numero dei casi è esiguo rispetto al totale dei partecipanti, possiamo illustrare il calcolo dell’efficacia del vaccino Pfizer trascurando la suddetta ponderazione.

Dunque, la misura di efficacia del vaccino (VE) viene calcolata come complemento a 1 del rischio relativo (vaccinati/non vaccinati):

VE  =  1 – RRV/NV  =  1 – (8/17.411) / (162/17.511)  =  0,9503

La corretta interpretazione di questo valore è che il 95% delle persone che si sarebbero infettate e ammalate se non vaccinate non si ammalano se vaccinate.

Dunque, VE si riferisce all’efficacia nell’evitare la malattia tra i soggetti destinati ad ammalarsi, ma non dice niente riguardo all’utilità del vaccino a contrastare la malattia (e neanche il contagio) nell’intera popolazione dei vaccinati.

Per la verità, una misura dell’utilità del vaccino a evitare la malattia per l’intera popolazione dei vaccinati viene usata nella prassi epidemiologica ed è rappresentata dalla percentuale di riduzione del rischio (RNV – RV), che nel caso del vaccino in questione risulta: 0,925% – 0,046% = 0,879%.
Tale percentuale indica che in una popolazione dove il rischio di ammalarsi di Covid-19 è pari a quello del campione dello studio Pfizer e in un periodo di tempo analogo, il vaccino permette di evitare all’incirca 9 casi di malattia ogni 1.000 vaccinati.
Nello studio Pfizer, dunque, la riduzione del rischio risulta piuttosto bassa, stando ad indicare una scarsa utilità del vaccino nel proteggere coloro che lo assumono, prescindendo dalla loro suscettibilità ad ammalarsi.

Va detto che la riduzione del rischio è sicuramente influenzata anche dal tempo di osservazione e dalle altre misure di prevenzione (diverse dal vaccino) attuate individualmente o collettivamente.
Pertanto, si può pensare che con un tempo di osservazione maggiore e in assenza di misure di prevenzione come quelle di distanziamento fisico, questo indicatore assumerebbe un valore un po’ più alto.
Tuttavia, ciò andrebbe riscontrato e valutato mediante ulteriori studi e al momento non possiamo che basarci su quanto risulta dallo studio in esame.
D’altra parte, è anche evidente che la vera utilità del vaccino andrebbe valutata soprattutto in relazione al numero di casi gravi che esso riesce a evitare e che certamente sono molti meno dei 9 su 1.000 risultanti dallo studio Pfizer.
Infatti, la stragrande maggioranza dei casi sintomatici si presenta in forma lieve o comunque curabile a domicilio, mentre solo in una percentuale ridotta di essi risulta necessario il ricovero, che a sua volta riguarda le terapie intensive in percentuale ancora più bassa.

Per la superficialità e l’approssimazione con cui i mass media hanno riportato i risultati dello studio Pfizer, la stragrande maggioranza del pubblico ha inteso che un’efficacia del 95% starebbe a significare che il vaccino sia in grado di evitare la malattia a 95 vaccinati su 100.

Per una trattazione più ampia e approfondita si rimanda al sito del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa.

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1 Comment on "Considerazioni sulle misure di efficacia dei vaccini anti Covid-19: il caso del vaccino Pfizer"

  1. Riccardo giusti | 11/12/2021 at 16:24 |

    Credo che in questa analisi ci siano degli errori di fondo non trascurabili. La probabilità di ammalarsi nel caso di una malattia virale, non va considerata una costante come potrebbe esserlo per una qualsiasi condizione patologica (% di infarti, % di dializzati ecc… che cambiano di poco), ma varia nel tempo ed è influenzata dalle condizioni in cui viene svolto uno studio. Anzi l’andamento dei contagi ha una crescita esponenziale ed è rappresentato da una curva che può
    divenire ripida in brevissimo tempo. Lo studio di Pfizer è stato condotto in un particolare momento della malattia. È ipotizzabile che se il virus avesse preso “forza” avremmo avuto risultati molto diversi sia sulla riduzione dei contagi che sulle conseguenze. Non si tiene conto inoltre della possibilità di sviluppare varianti che avrebbero ancora di più complicato la situazione e rese effimere queste considerazioni. Inoltre è un errore grave considerare la suscettibilità come un parametro. Nello studio la popolazione dei non vaccinati per esempio riportava un numero di contagi di 160, ma il resto non si era ammalato non perché non suscettibile, ma per un infinità di situazioni e coincidenze, sia interne all’individuo che esterne, che lo hanno “protetto”. Probabilmente, come accennato sopra, con il progredire della diffusione del virus, la situazione sarebbe sicuramente cambiata.
    Inoltre i numeri che escono dallo studio di Pfizer, anche se considerassimo una situazione statica e senza pericoli di varianti, se applicati ad una popolazione di una cittadina di circa 17.000 abitanti, eviterebbero circa 160 contagi. Non sono così pochi considerando la % di morti, o di complicazioni serie, o di impegno di terapie intensive, che , se occupate, non saeebbero disponibili per altre situazioni gravi.

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