Letalità del COVID-19 nelle regioni italiane: sottostima dei casi positivi o carenza di strutture?

Giovanni Busetta – Università degli Studi di Messina
Maria Gabriella Campolo – Università degli Studi di Messina
Demetrio Panarello
– Università degli Studi di Udine

Il tasso di letalità associato al nuovo Coronavirus SARS-CoV-2 in Italia è attualmente il più alto al mondo. Tasso di letalità che molti studiosi affermano essere irreale. La difficoltà nel conoscere esattamente il numero dei contagiati comporta una stima della letalità basata soltanto sui pazienti effettivamente confermati a seguito del tampone, il che comporta una sovrastima del relativo tasso. Scarsità di risorse e di tempo hanno costretto molte regioni a procedere con la sola verifica di soggetti che presentavano già dei sintomi. La presenza di pazienti asintomatici nella popolazione aggrava ancor di più la situazione. Se, da un lato, la verifica degli effettivi positivi potrebbe far abbassare il tasso di letalità, dall’altro analizzare anche il modo in cui si è fronteggiata l’epidemia a livello di strutture ospedaliere potrebbe dare una visione più completa del fenomeno, al fine di rendere quest’esperienza un insegnamento per affrontare le nuove sfide che potrebbero presentarsi in futuro.

Alla fine di febbraio 2020, un primo caso di contagio da SARS-CoV-2 è emerso in Lombardia. Nuovi casi sono stati segnalati rapidamente nella stessa regione e in quelle vicine e, successivamente, tramutati nell’imposizione delle “più drastiche misure di salute pubblica mai viste in una democrazia”[1], con l’intera nazione posta in quarantena in tempi rapidi al fine di rallentare la curva dei contagi. Al 30 Marzo 2020, il tasso di letalità ricavato dai dati italiani (11,4%) risulta essere il più alto al mondo. Tuttavia, la letalità apparente (Case Fatality Rate, CFR) è verosimilmente ben diversa da quella reale (Infection Fatality Rate, IFR), che uno studio di Febbraio (Verity et al., 2020) stimava per la Cina allo 0,66%, aggiustando il CFR “crudo” aggiornato all’11 Febbraio 2020 – il quale, con 1023 morti e 44672 casi confermati, si attestava invece al 2,3% – per sottostima e composizione demografica ed includendo nel computo anche i cittadini infetti rimpatriati in Cina successivamente.

Nel caso italiano, specialmente dopo le nuove policy governative introdotte a partire dal 1° marzo 2020 che raccomandavano di sottoporre al tampone solo i casi più gravi con sintomi riconducibili al virus, si può ragionevolmente ritenere che moltissime persone siano sfuggite ai controlli e, pertanto, non dichiarate ufficialmente positive.
Per questa ragione, si può sostenere che il CFR, calcolato dividendo i casi confermati dai tamponi per il numero di deceduti a causa del disturbo causato dal virus SARS-CoV-2, sia un indice poco realistico della letalità reale del nuovo Coronavirus, che viene così grossolanamente sovrastimata. L’Imperial College COVID-19 Response Team (Flaxman et al., 2020) stima che il numero reale delle persone contagiate dal virus in Italia, al 28 Marzo, sia di ben 5,9 milioni (il 9,8% della popolazione nazionale). Considerando anche un numero reale di decessi plausibilmente superiore a quello dichiarato, per via del fatto che un gran numero di persone infette non vengono sottoposte ad alcun tipo di sorveglianza sanitaria e che il loro eventuale decesso – alla luce del fatto che il tampone non viene effettuato post-mortem – non viene censito, il tasso di letalità reale potrebbe così avvicinarsi ad una soglia più veritiera rispetto all’attuale 11,4% ufficialmente proclamato.

Non è realistico, però, ritenere che il reale tasso di letalità italiano sia molto simile a quello stimato per la Cina: come sappiamo, il disturbo è letale soprattutto per le persone in età più avanzata che, in Italia, rappresentano una fetta molto più consistente della popolazione rispetto al caso cinese.

Specialmente nelle regioni in cui l’epidemia è in uno stadio più avanzato, risulta impossibile sottoporre a tampone una fetta consistente della popolazione, e si limitano le poche risorse disponibili ai casi più gravi. Tuttavia, quando viene trovata una persona infetta, una buona pratica sarebbe quella di sottoporre a tampone anche tutte le persone con cui l’individuo infetto si sia trovato recentemente a contatto, anche qualora queste non manifestino all’apparenza alcun sintomo riconducibile al COVID-19.
Partendo da questo presupposto, ci si aspetta che nelle regioni più efficienti (id est, le regioni che adottano un piano più accurato per la somministrazione dei tamponi) il numero di casi positivi “scovati” a seguito dei tamponi effettuati non sia particolarmente alto; al contrario, nelle regioni meno efficienti, ci si aspetta che solo i casi più gravi vengano sottoposti a tampone e che, quindi, un numero molto alto di tamponi abbia dato esito positivo. Ovviamente, una stima più precisa del tasso di letalità si otterrebbe aumentando in maniera consistente il numero di tamponi giornalieri, ma le risorse non lo consentono ed è necessario scegliere, in base a criteri più o meno validi, a chi somministrarli.

Regioni a bassa letalità si trovano in tutte le macroaree del Paese (vedi Figura 1). In questo studio, daremo un’idea di quali siano le regioni più efficienti in termini di correttezza dei criteri di scelta delle persone da sottoporre a tampone.

Figura 1: Letalità media per regioni

Figura 1: Letalità media per regioni

I report sui casi positivi e sui deceduti vengono pubblicati a cadenza quotidiana. Nel caso ideale, dal momento dell’insorgenza dei sintomi, le persone dovrebbero essere subito sottoposte a tampone ed essere inserite nel computo dei casi positivi, al più, all’interno del report del giorno successivo. Il tempo mediano che trascorre dal momento dell’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale è stato stimato dall’Istituto Superiore di Sanità [2] in 4 giorni; dal ricovero al decesso, poi, la mediana è di ulteriori 4 giorni. Pertanto, stimiamo che i morti di un determinato giorno siano riconducibili ai casi positivi confermati 7 giorni prima.

Osservando il grafico successivo (Figura 2), possiamo notare come alcune regioni (Lombardia, Lazio, Liguria, Marche) hanno dovuto fronteggiare l’emergenza con un numero eccessivo di casi gravi, che richiedevano non solo l’ospedalizzazione del paziente positivo, ma addirittura la terapia intensiva, portando allo stremo gli ospedali. Incrociando questi dati con i tassi di letalità riportati nel grafico precedente (Figura 1), si può osservare come nel periodo iniziale la letalità delle regioni inizialmente colpite non sembri discostarsi molto da quella osservabile nel resto del Paese nei due periodi successivi.

Figura 2: Positivi in Terapia Intensiva su Positivi

Figura 2: Positivi in Terapia Intensiva su Positivi

In ogni momento, il tasso di letalità dichiarato dovrebbe idealmente essere inferiore a quello reale, dato che la quota di nuovi positivi che diventano vittime della malattia dovrebbe aggiornarsi circa 7 giorni dopo. Nelle regioni del Centro-Nord, in cui i primi casi di COVID-19 sono emersi molti giorni prima rispetto al Mezzogiorno e che mostrano un più alto incremento giornaliero di casi positivi, il tasso di letalità dovrebbe essere quindi più basso rispetto a quello del Sud e delle Isole.

Tuttavia, l’andamento del tasso di letalità mostra una tendenza crescente in tutte le regioni italiane, indice del fatto che i contagi vengano stimati sempre peggio, man mano che il contagio diventa più diffuso. Ci si aspetta, poi, che quando si arriverà al picco di contagi i nuovi casi potrebbero non risultare subito significativamente inferiori a quelli stimati nei giorni immediatamente precedenti: ciò è un effetto del campionamento, dato che quando ci sono meno soggetti infetti è più facile tracciarli in modo più preciso, considerando il limite massimo di tamponi effettuabili giornalmente.

 

Figura 3: Terapia Intensiva su casi totali

Figura 3: Terapia Intensiva su casi totali

I posti in terapia intensiva necessari in ogni regione vengono calcolati a partire dal numero stimato di contagiati della regione. Come si evince dal grafico precedente (Figura 3), il tasso di letalità sembra essere contenuto nei primi 12 giorni dall’insorgenza della crisi epidemica, con una percentuale di pazienti ricoverati in terapia intensiva superiore al 12% per quelle regioni che successivamente si troveranno in una situazione di crisi, mentre negli ultimi 12 giorni (T36 = a partire dal 25° giorno e fino al 36°) la relazione tra il tasso di letalità e la quota di pazienti ricoverati in terapia intensiva sul totale dei casi positivi è inversamente proporzionale. A questo punto, ci si potrebbe chiedere se l’alta letalità in alcune regioni possa dipendere dall’alto numero di pazienti che potrebbero avere avuto necessità della terapia intensiva ma che non riescono ad accedervi, oppure da una stima errata del numero reale dei contagiati. Dall’altro lato, il tasso di letalità dipende dal numero degli effettivi contagiati. Al momento, non essendo possibile avere una stima reale dei pazienti positivi al COVID-19, sembra che questa stima della letalità legata al COVID-19 sia superiore rispetto a quella attesa. Per questo motivo, andiamo a verificare un’ultima relazione: quella tra il tasso di letalità e il numero di pazienti positivi sul numero di tamponi effettuati (Figura 4).

Figura 4: Positivi su numero di tamponi

Figura 4: Positivi su numero di tamponi

Come si evince dalla Figura 4, all’aumentare del rapporto tra casi positivi e numero di tamponi, aumenta il tasso di letalità a 7 giorni dalla pubblicazione del risultato del tampone. Poiché un basso numero di positivi rispetto ai tamponi effettuati denota ed è sintomo di un’indagine a raggiera intorno ad ogni positivo riscontrato, la correlazione tra questa e bassi livelli di letalità è indice di una stima dei contagiati che non si discosta eccessivamente dai reali contagiati (comprensivi degli asintomatici).

Se il numero di casi positivi reale è decisamente maggiore di quello apparente, i posti in terapia intensiva risulteranno insufficienti e si rischierà di avere un tasso di letalità più alto a causa del fatto che non tutti i pazienti sintomatici potranno ricevere cure adeguate. Sarebbe pertanto auspicabile, al fine di individuare rapidamente il maggior numero possibile di casi positivi, l’utilizzo delle strutture e del personale dei centri analisi privati in grado di provvedere all’analisi di un maggior numero di tamponi, ad oggi assolutamente insufficiente.

 

[1] https://www.theglobeandmail.com/canada/article-make-no-mistake-italy-is-not-an-outlier-in-this-global-pandemic/
[2] https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_20_marzo.pdf

 

Riferimenti bibliografici

  • Flaxman, S., et al. (2020). Estimating the number of infections and the impact of nonpharmaceutical interventions on COVID-19 in 11 European countries. Available at https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-Europe-estimates-and-NPI-impact-30-03-2020.pdf.
  • Verity, R., Okell, L. C., Dorigatti, I., Winskill, P., Whittaker, C., Imai, N., … & Dighe, A. (2020). Estimates of the severity of COVID-19 disease. medRxiv.
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