Covid-19 e problemi nella divulgazione delle statistiche sulla mortalità.

Gabriele Ruiu – Università di Sassari

Il diluvio di dati disponibili sulla diffusione della pandemia ci espone ed ambiguità e va analizzato con cautela. Il rischio è quello di trasformare o, peggio, ricreare la realtà, per cui le tecniche statistiche devono essere applicate con cautela tenendo conto della qualità dei dati di cui si dispone

 

L’emergenza Covid-19 rappresenta una sfida su tutti i fronti della vita del Paese, compreso quello statistico. In particolare, si ritiene che la pubblicazione di statistiche costruite in maniera corretta sia fondamentale per non diffondere errate convinzioni nella popolazione.
Un esempio evidente è l’errore che comunemente viene fatto dalle maggiori fonti di informazione italiane, che riportano spesso la notizia secondo la quale la mortalità legata al virus sarebbe attorno al 10% e quindi più alta rispetto a quella registrata in altri paesi.
Innanzitutto raramente viene spiegato in che cosa consiste la differenza tra un tasso di letalità e un tasso di mortalità. Il primo è un rapporto tra numero di decessi e numero di affetti da una patologia (ed è questo che in Italia è attorno al 10%), il secondo è invece ottenuto dividendo il numero di casi totali sulla popolazione.
A volte viene poi specificato che si tratta di un tasso di letalità e non di mortalità ma senza spiegarne la differenza, il che non basta di sicuro ad un lettore non esperto di misure epidemiologiche a coglierne la profonda diversità. Viene dunque preferita la divulgazione di una statistica più sensazionalistica, confidando nel fatto che un lettore sappia discernere tra i due tassi.[1]

Andrebbe inoltre aggiunto che un’informazione così riportata nasconde di fatto tre errori concettuali. Il primo è che tale tasso di letalità viene calcolato rapportando il numero di decessi al numero di casi positivi verificati attraverso un test medico. Le verifiche mediche non sono però universali, per ovvie ragioni di contingentamento delle risorse, il tampone viene infatti effettuato solo in caso si sospetti per ragioni fondate che il soggetto sia affetto dal virus. Il numero di casi positivi è fortemente sottostimato in quanto in questa cifra non saranno conteggiati tutti colori che contraggono il virus in maniera asintomatica o che lo sviluppano con lievi problemi di salute. Questo induce altresì ad una sovrastima della letalità tra i contagiati.

Il secondo errore è evidentemente legato a quest’ultimo aspetto. Sarebbe più corretto per evitare tale errore, riportare un tasso di mortalità specifico per causa, rapportando il numero di morti alla popolazione media e non al numero di contagiati verificati. È apprezzabile quindi che nella pubblicazione dei bollettini contenenti le Statistiche di monitoraggio[2], l’Istituto Superiore della Sanità pubblichi a livello regionale e provinciale infatti un’incidenza dei casi sulla popolazione del territorio considerato.
Purtroppo però a tale dato non viene dato risalto nella presentazione della situazione sui mezzi di comunicazione. Va detto che anche tale incidenza sulla popolazione potrebbe essere soggetta ad una sottostima qualora non tutti i morti a causa del corona virus, venissero classificati come tali. Ma questo è un problema generale per tutti i tassi specifici per causa.

Infine il terzo errore è insito nel fare un confronto internazionale sulla base del tasso di letalità. Per operare tale comparazione esso dovrebbe essere depurato quantomeno dall’effetto giocato dalla composizione per età di una popolazione. L’Italia, dopo il Giappone, è il Paese più anziano al mondo, dunque se un virus attacca due popolazioni con una differente piramide dell’età, è ovvio che il numero dei decessi, a parità di intensità, sarà superiore nel paese in cui la popolazione in età avanzata ha un peso maggiore. In altre parole, i tassi andrebbero standardizzati, attribuendo ai due paesi oggetto di confronto la stessa struttura per età.

La straordinaria potenza del calcolo ad effetto ad uso giornalistico è perciò soggetta a vincoli, limiti ed ambiguità. Rendendo opaco il messaggio, il rischio è quello di trasformare o, peggio, ricreare la realtà. Non si vuole di certo, in questa sede, minimizzare la drammaticità del momento che il Paese sta vivendo, ma solo rimarcare che affinché un dato diventi informazione, la statistica va usata e soprattutto divulgata in maniera trasparente.

 

[1] Ecco alcuni esempi di errata divulgazione:
https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/21201023/coronavirus_lombardi_tasso_mortalita_8_2_reale_numero_contagi_sbagliato_100mila.html; https://www.ilmessaggero.it/salute/focus/coronavirus_mortalita_influenza_4_marzo_2020-5090677.html;
https://www.ilsole24ore.com/art/dal-coronavirus-all-influenza-stagionale-ecco-tassi-mortalita-numeri-mano-ACQQd2IB

Alcuni esempi di corretta divulgazione:
https://www.focus.it/scienza/salute/perche-in-italia-la-letalita-apparente-da-coronavirus-e-piu-elevata;
https://www.agi.it/fact-checking/news/2020-03-12/coronavirus-bilancio-morti-contagi-guariti-dati-7447972/

[2] https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino%20sorveglianza%20integrata%20COVID-19_19-marzo%202020.pdf

 

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