Dati: pubblicati vs pubblici

Prof. Paolo Mariani

Dipartimento di Economia, Metodi Quantitativi e Strategie di Impresa

Università degli Studi di Milano Bicocca

L’aumentata disponibilità di contenuti sul WEB ha condotto ad una maggiore consapevolezza sulla possibilità di trarre informazioni dalle tracce digitali, lasciate volontariamente o meno dagli utenti, che vanno a comporre un insieme gigantesco e in continuo accrescimento, istante per istante e in ogni luogo del mondo, su innumerevoli tematiche.

Il diffuso utilizzo dei social offre fotografie, filmati, testi, audio e log che consentono ad esempio di definire un indicatore di sentiment attraverso i messaggi in Twitter, individuare i concetti chiave di una comunicazione tra azienda e cliente nel tempo attraverso Facebook, rappresentare sinteticamente le connessioni tra utenti.

Ma possiamo utilizzare liberamente questi contenuti? Pur essendo le applicazioni su questi dati diffuse e utilizzate, sono legittime? In altri termini i dati pubblicati sono dati pubblici?

Se per dato pubblicato si intende reso pubblico, fatto conoscere pubblicamente, divulgato, in altri termini potenzialmente noto a tutti, e per dato pubblico si intende che è accessibile e aperto a tutti, che tutti possono utilizzare, che non è di proprietà privata né riservato a determinate persone o gruppi, allora definire un indicatore, individuare concetti o effettuare sintesi potrebbero rappresentare attività da approcciare con attenzione.

Ad esempio l’avere pubblicato una foto sul nostro sito personale o sulla nostra pagina Facebook autorizza a considerarla pubblica? In altri termini, acconsentiamo di fatto a cedere la stessa a chicchessia, per trattarla a fini personali oppure commerciali? Un nostro testo inserito in Twitter lo rende automaticamente disponibile per chiunque voglia utilizzarlo?

La risposta, spesso presente nelle aziende, riporta la possibilità di utilizzo legata alla garanzia di protezione della privacy, al fatto che di norma il trattamento di questi dati rende non identificabile l’autore ad esempio del Tweet. Ma in questo caso più che di riservatezza potrebbe trattarsi di proprietà.

Riconoscendo la proprietà dei dati l’utente potrebbe averne maggiore controllo. Ad esempio in ambito profilazione la stessa potrebbe vedere la definizione di modalità comportamentali sulla base della considerazione che gli utenti siano definiti dagli insiemi di tracce digitali che lasciano, quindi dati che in relazione alla finalità ed alla tecnica di analisi assumono specifici significati e rilevanza. Se la profilazione indica un primo utente come destinatario di un buono sconto per un prodotto ed un secondo utente invece no, quest’ultimo potrebbe risultare danneggiato dal comportamento classificatorio della azienda. Il primo di contro potrebbe voler contrattare il valore del buono sconto in relazione ai possibili guadagni che l’azienda potrebbe avere dal trattamento dei dati.

Il Legislatore ha intrapreso un percorso che porta a riconsiderare la proprietà delle tracce digitali ma occorre una riflessione sul ruolo della statistica in particolare per le modalità di trattamento del dato.

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